Ieri sera ho assistito ad un concerto dei
Tenores di Bitti “Mialinu Pira”,
che hanno eseguito con la tipica polivocalità del canto a tenore
alcune musiche tradizionali della Sardegna, sia sacre che profane.
Il concerto, organizzato dal
Festival Duni
e dalla
Polifonica Materana “Pierluigi da Palestrina”, si è tenuto a
Matera nel suggestivo chiostro de “Le
Monacelle“.
Prima di invitarvi all’ascolto dell’intervista ai Tenores, vorrei
fornire alcune informazioni su questo stile vocale così particolare
facendo uso delle parole di un mio illustre maestro,
l’etnomusicologo
Roberto Leydi. A proposito del canto a tenore della Barbagia,
ognuno dei quattro cantori che formano il complesso polivocale viene
descritto per il suo ruolo: «Il primo di essi, sa boghe,
[…] declama e canta le sillabe con uno stile di emissione di voce
“tremolato”, si tratta di una “declamazione sillabica”. […] Non
appena l’”esposizione” del canto è terminata - e la sua durata è
legata al testo verbale, al suo significato e all’emozione provata -
il primo cantore tace e sulla sua ultima nota intervengono le altre
tre voci. Di queste, la prima è di registro basso, ed il cantore è
infatti definito su bassu: egli emette una voce di gola,
rauca e cavernosa, dal timbro metallico, dal suono duro, continuo,
una successione di note rapide e violente, che fa di base agli altri
due cantori. Questi, sa mesa boghe e sa contra,
emettono un’altra serie di suoni che si configurano in un rapporto
armonico con la voce del su bassu, un rapporto di
terza-quinta o di quarta-sesta. […] Le tre voci non ripetono nessuna
parola declamata dalla boghe, ma fondano il loro blocco
ritmico sulla scansione di alcune combinazioni sillabiche
tradizionali: “ba-ri-llà”, “bim-ba-rà”, “bim-bo-rò”, ecc. Conclusasi
questa parte ritmica, la voce sola riprende la sua declamazione
sillabica, per essere nuovamente interrotta dalle tre voci, e così
di seguito» (1).
Nell’intervista, anticipata e seguita da brevi esempi musicali,
intervengono, nell’ordine: Omar Bandinu (bassu), Marco
Serra (contra), Dino Ruiu (oche e mesu oche)
e Bachisio Pira (oche e mesu oche). I nomi in
dialetto delle voci sono leggermente diversi da quelli già citati
perché Leydi si riferiva a quelli in uso ad Orgosolo.
Per l’ascolto del podcast, come di consueto, basta premere “play”
sul lettore multimediale alla fine di questo testo.
(1) - LEYDI ROBERTO, libretto allegato al disco
Italia vol.1. I balli, gli strumenti, i canti religiosi ,
Albatros VPA 8082, 1970, p. 10.